lunedì 17 settembre 2012

L'ultima volta che vidi Parigi, ovvero l'ultima volta che vidi il savoir faire

"L'ultima volta che vidi Parigi" è un elegante e pretenzioso negozio nel centro della mia città.
E' un negozio straordinariamente ampio con sfarzosi lampadari di cristalllo da salone da ballo della reggia di Versailles.
Le panoramiche vetrine espongono sempre in bella vista lingerie elegante, estrosa od addirittura eccentrica.
Sia in vetrina che all'interno sugli ampi armadi a vista spiccano vestiti da sera lunghi, corti, ricchi di piume, voile, paillettes.
Alcuni su tessuti lucidi di raso hanno cascate di swaroski e profonde scollature sul decolleté o sul dorso.
Altri luccicano per il tessuto laminato.
Quello che più mi attira in questa boutique sono i vestiti estivi, specialmente quelli a sottoveste, fatti con tessuti evanescenti, tipo seta, dalle fantasie colorate, che in estate lasciano respirare la pelle, esaltano l'abbronzatura e fanno sentire comunque vestite ed eleganti in ogni situazione.
Ho comperato quest'estate lì un bikini in una fantasia sul rosso, tutto un tripudio di perline e piccole pietre variopinte incastonate: il più bel costume da mare che possegga.
Gli accessori come scarpe e borse non sono eccezionali, mancando lì i brand di grosso prestigio.
Poi ci sono cappelli e monili retrò, un pò di profumeria abbastanza ricercata, ma non di certo la più lussuosa che il mercato offra.
Comunque fin qui nulla da ridire, anzi è uno dei pochi negozi in centro, non appartenenti a catene, che si salva e naviga ancora in questi anni di crisi.

Il punto dolente è la gestione..
La proprietaria, bella, altera e arcigna, dietro i suoi occhi di ghiaccio, non spreca di certo il suo tempo ad accogliere i possibili acquirenti.
Ma come un ragno che piano piano trama la propria rete, rimane nascosta dietro i tendaggi.
Appena un cliente varca la soglia, gli sguinzaglia dietro il piccolo branco di commesse, che lei possiede.
A loro volta esse debbono essere sì gentili e disponibili, ma anche obbligate eventualmente a mentire sulla riuscita dei capi in dosso ai clienti e a spingere ad acquisti anche altamente improbabili.

In tempo di saldi regna poi il caos completo.
Le povere commesse devono districarsi su capi e capi accatastati, appartenenti non solo all'anno corrente, ma ad evidenti giacenze di anni passati.
Sono articoli che da anni subiscono lo stesso destino: all'inizio dei saldi costano il 20-30 per cento in meno, poi verso la fine della campagna di saldi vengono in genere ribassati al 50 per cento.

La proprietaria del negozio come un impassibile Caronte traghetta i cartellini dagli articoli alla cassa, dà il conto e striscia la carta.
Imperturbabile accenna un saluto a chi ha acquistato, mentre la commessa, sorridente per la vendita conclusa, apre la porta.

Se un abito lì acquistato, senz'altro alla massima quotazione possibile, poco dopo diventa informe (a me è capitato), si scolora (a me è capitato), o il tessuto perde l'originaria morbidezza, la proprietaria non ne risponde.

Il cliente ha sempre torto.